1800 denari
1800 denari sono la quantità stabilità dal governo Meloni per censurare un monologo di Antonio Scurati. dietro quella quantità ci sono, almeno, tre questioni: la menzogna, il proposito; il risultato.
La menzogna
Sarebbe meglio dire le menzogne, perché son state diverse le versioni del fatto che abbiamo sentito. Non è raro. La censura in democrazia non è giustificabile. Non lo è perché suppone annichilire il confronto dialettico tra le parti sociali, eliminare di fatto il substrato prima e la validità del meccanismo su cui poggia la democrazia. Per censurare serve una giustificazione che sia accettabile agli occhi di una stragrande maggioranza e difficilmente si trova quella giusta al primo tentativo. Ecco perché le diverse versioni. Poi ci sarà tempo per aggiustare le cose, per modificare la percezione di un fatto grave.
Sono 1800 denari la quantità che pesa la censura. Certo, ci sono stati casi di censura precedenti e sono convinto che ce ne saranno altri. tuttavia mai prima d’ora si era dato un peso alla censura, una quantità. La censura ha, quindi, una dimensione economica. Una versione persino meschina perché in Rai 1800 denari sono appena secondi di pubblicità. E poi, 1800 denari sono troppi per un monologo? Non direi, per due motivi: si tratta di un atto originale, unico e frutto di riflessone e lavoro (quel lavoro che si è messo una vita ad imparare a fare bene, come qualsiasi falegname, ma co strumenti diversi); si tratta di un monologo che avrà una diffusione prevista amplissima e per cui la remunerazione è consona con l’importanza dell’incarico. Vogliamo poi paragonare queste cifre con quelle pagate ai signori del gossip come Corona?
Il proposito
1800 denari sono la quantità che agli occhi del governo giustificano un altro attacco agli intellettuali di questo paese e alle loro opinioni. Questa è la cifra, anzi è solo una cifra, che permette al governo Meloni dire “vedete come sono ben pagati gli intellettuali”. Questo, però, è solo un’altra tappa della campagna in corso, continua e martellante contro ogni intellettuale (paradossalmente anche contro quelli che potrebbero condividere in tutto o in parte degli ideali del governo). Con intellettuale non deve intendersi un essere alieno alla realtà quotidiana, bensì il contrario, una persona che riflette sulle condizioni in cui viviamo tutti noi, a scapito di quale sia poi il proprio mestiere.
Smobilitare e snobilitare gli intellettuali è una necessità di chi desidera governare senza contraddittori, che vuol dire che si colloca ortogonalmente alla realtà: evitare il confronto, la dialettica è possibile solo se si rinnega la realtà, se si girano le spalle e si costruisce un’immagine idealizzata. La mancanza di intellettuali per controbattere, per discutere, per diventare megafono di posizioni diverse è fondamentale per raggiungere lo scopo di smantellare il sistema democratico nei suoi meccanismi e processi, lasciando soltanto un guscio vuoto che aderisca esclusivamente ai formalismi del voto.
La strategia
È una strategia adoperata per ogni governo con ambizioni totalitarie, così in passato e di ogni governo con desideri totalizzanti, così nel presente. La storia insegna che quando questi governi si disintegrano, anche gli intellettuali favorevoli sono di troppo, perché sono l’ultima àncora possibile con la realtà seppur distorta. Abbiamo bisogno di intellettuali, di molti intellettuali, non perché sono un élite, ma perché sono una avanguardia, una vedetta dei tempi in arrivo. Anzi, abbiamo bisogno che ciascuno di noi ambisca ad essere un intellettuale, ovvero a essere un individuo attivo, pensante, partecipe della vita comune tanto quanto di quella privata.
E voi direte che sto esagerando. Bene, faccio un esempio. Ora discute a bassa voce se l’Europa, e quindi anche l’Italia, deve imboccare la strada dell’economia di guerra, quel tipo di economia in cui si espandono servizi e impiego in ambito militare, e si depopolano segmenti della società liberando risorse e attuando un riordino sociale e economico. In questo quadro annullare, zittire, smobilitare e disintegrare la voce degli intellettuali priva tutti noi di un confronto democratico, di far valere ragioni diverse a quelle che conducono alla violenza. Quel che succede quando la collettività perde la capacità di riflettere il peggio può accadere.
E questo è solo un aspetto. Usare i soldi per fare ciò è possibile in due modi: gli intellettuali guadagnano immeritatamente tanti soldi, ecco il caso Scurati; si zittiscono gli intellettuali attaccando il loro patrimonio, ecco il caso Canfora, attraverso cause che potrebbero non sostenere (allo stesso modo che le multinazionali trascinano in giudizio intere comunità le cui risorse non possono fronteggiare i costi della giustizia).
Il risultato
1800 denari sono la censura sul pensiero e sulla libertà di parola, insomma sulla democrazia. Scurati, si dirà, non è stato censurato perché il suoi monologo è stato diffuso ovunque. Bene, non confondiamo le manovre per sfuggire, legittimamente, alla censura con l’inesistenza della censura. Oltre a questo bisogna tenere presente che un risultato interno al censore c’è: la spaccatura tra coloro che preferiscono dissimulare (o mentire) e quelli che fieramente vantano il ruolo di censori. Non è cosa da poco.
Questa divisione suppone una linea comune nel fondo, divergente nella forma, forma che misura l’indice di aggressività contro il dissenso, di avvicinamento all’autoritarismo, di insofferenza per le pratiche democratiche. Ci si avvia verso una democratura, come sosteneva, non solo lei ovviamente, Michela Murgia? Questa dipenderà dalla resistenza alla censura, dall’insofferenza dell’altro, dall’astio. Questa resistenza non è solo a carico degli intellettuali, perché anche chi li appoggerà finirà per essere additato come tale. La resistenza è una questione collettiva e personale allo stesso tempo, motivo per cui è doppiamente difficile perché contrappone gli ideali alla vita quotidiana. Tuttavia è questo il primo passo per affermare la libertà e per disputare poi, forse, l’egemonia culturale.